Nel percorso per passare da entità geografica a Stato riconosciuto intrapreso nel 2008 dal Kosovo con la dichiarazione unilaterale d’indipendenza dalla Serbia, l’estate 2016 ha rappresentato per la regione balcanica un punto di svolta nell’immagine percepita a livello internazionale. Non strettamente a livello politico, perché la situazione attualmente è cristallizzata a 109 riconoscimenti su 193 Paesi membri dell’Onu (l’ultimo da parte del Suriname, lo scorso 23 giugno), quanto sul piano della narrazione identitaria di una comunità.
Nell’assiologia e nei rituali dello sport, infatti, il Kosovo ha vissuto un periodo altamente simbolico. Erano le prime ore del 6 agosto, nel fuso orario di Pristina, quando la judoka Majlinda Kelmendi ha portato la bandiera kosovara alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, sfilando in testa alla delegazione presente per la prima volta ai Giochi dopo l’ingresso nel Cio del dicembre 2014; il 5 settembre, poi, la nazionale di calcio del Kosovo ha disputato a Turku, in Finlandia, la sua prima partita ufficiale in una gara di qualificazione ai Mondiali di Russia 2018, appena quattro mesi dopo il contestato riconoscimento da parte di Uefa e Fifa e dopo una manciata di partite amichevoli.
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