Non era una ragazza triste. Stare con lei era divertente. Sapeva sorridere e scherzare. Ha mischiato sorrisi e lacrime prima di morire, pensando soprattutto ai suoi cari, ma non aveva timori a parlare della questione.
Poco prima dei Giochi di Rio era finita su vari siti e giornali di ogni parte del mondo, che titolarono: «Dopo la Paralimpiade, l’eutanasia». Un’esagerazione. Che lei a Rio smentì. Riguardo i tempi, però, non sulla idea, che coltivava da qualche tempo e ne aveva parlato in una intervista: “Non ho più paura della morte. Quella assistita è simile a un’operazione: si va a dormire, ma non ci sveglia. Una cosa pacifica. E io non voglio soffrire quando morirò”. Quando invece lesse quei titoli rimase stupita: “Non sapevo se ridere o piangere. Era il 2008 quando ho firmato per l’eutanasia se le mie condizioni fossero peggiorate. Ma, vedete? È il 2016 e ho vinto una medaglia alla Paralimpiade. Ora devo pensare ad altro, ci sono ancora tante cose belle da fare. Mi piacerebbe provare il volo acrobatico e il paracadutismo, volare su un jet F16, aprire un museo, competere in una gara di rally. Ma la lista non finisce qui”. Cose che in parte è riuscita a fare. Come l’ultimo desiderio di guidare una Lamborghini.
http://invisibili.corriere.it/2019/10/23/la-scelta-di-marieke-e-i-bei-ricordi-da-non-dimenticare/
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