Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare insegna educazione fisica (Woody Allen)

lunedì 19 settembre 2016

Il giornalismo sportivo non è immune dal pregiudizio di genere

Nelle domande fatte a giocatori e giocatrici di tennis i giornalisti tendono a chiedere meno cose relative al gioco alle donne rispetto agli uomini
Se l’atleta è un uomo a fine partita è più probabile che si parli del campo, dei servizi, dei volèe o di tie-break. Se però l’atleta è una donna è più probabile che sentiremmo pronunciare parole come “nervoso“, “madre“, “amici“, “padre” nelle conferenze stampa e incontri con i giornalisti a seguire. Questo almeno è quel che suggerisce uno studio presentato alla scorsa 25th International Joint Conference on Artificial Intelligence, che ha analizzato migliaia di interviste a giocatori e giocatrici di tennis, mostrando come alle donne vengano fatte in media più domande non strettamente attinenti al gioco. In altre parole: anche il giornalismo sportivo soffre di pregiudizio di genere, dati alla mano (anche se ne avevamo avuto il sospetto con il caso delle tre atlete di tiro con l’arco lo scorso agosto).
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