Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare insegna educazione fisica (Woody Allen)

giovedì 2 luglio 2015

A scuola con il corpo

“A scuola con il corpo” fu l’efficace slogan che, negli anni ’70, fece da cappello a un’intensa stagione educativa che impose con forza il tema della soggettività dell’apprendere e dell’imparare, una dimensione a lungo misconosciuta e mortificata da una prassi assoggettata alle logiche del potere e della selezione classista.
Non si rivendicava semplicemente la necessità, pur imprescindibile, che i luoghi formativi riconoscessero finalmente ai linguaggi “altri” rispetto alla parola, considerati residuali e ricreativi, di partecipare e contribuire significativamente alla costruzione delle conoscenze.
Quell’invito ad accogliere il corpo conteneva in sé una sfida più radicale, una sfida che rifletteva nel mondo dell’educazione desideri e utopie capaci di appassionare e coinvolgere in un progetto di cambiamento epocale un’intera generazione.
Il soggetto in educazione divenne autorizzato a vivere il suo corpo, o, meglio, a essere il suo corpo. La via rappresentazionale dell’espressione corporea contribuì a mettere in crisi un certo modello scolastico allora dominante, basato su di una concezione manichea dell’educazione, che fabbrica bambini saggi, buoni allievi, con tante paure. Bambini repressi. Una rivoluzione pedagogica si avvicinava: essa reclamava di partire da una formazione degli educatori al contatto, e la focalizzazione delle attività sui bisogni del bambino. Da luogo da controllare, il corpo divenne luogo da animare e ascoltare.
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