Pensiamo a quella famosa storiella introdotta dal filosofo Douglas Hofstadter nel 1983 per spiegare il tema dei “presupposti riduttivi”: un padre e un figlio fanno un incidente. Il padre muore, il figlio è grave, viene portato in ospedale e deve essere operato. Arriva il chirurgo che si aspetta un caso di routine, ma alla vista del ragazzo sbianca e mormora: “Non posso operare questo ragazzo… è mio figlio”.
Prosegue Hofstadter: «Come si risolve questo macabro indovinello? Come si può spiegare la cosa? Forse il chirurgo mente oppure si sbaglia? No. Lo spirito del padre morto si è in qualche modo reincarnato nel corpo del chirurgo? No. Forse il chirurgo è il vero padre del ragazzo mentre l’uomo morto era il padre adottivo? No. Qual è allora la spiegazione?». Hofstadter dice che ci mise circa un minuto a trovare la risposta, che rimase molto colpito dalla sua prestazione e da quella media del gruppo in cui si trovava («Un paio delle persone presenti rimasero più di cinque minuti a rompersi la testa prima di trovare la risposta e quando infine ci arrivarono rimasero a bocca aperta»). Il chirurgo era la madre.
https://www.ilpost.it/giuliasiviero/2019/06/26/noi-nel-linguaggio-e-la-portiera-della-nazionale/
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