Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare insegna educazione fisica (Woody Allen)

venerdì 3 marzo 2017

Quel professionismo sportivo che in Italia non c’è

Un valore della produzione, direttamente e indirettamente attivato, che supera i 50 miliardi di euro, un Pil stimato in 25 miliardi che equivale all’1,6% del prodotto interno lordo nazionale: le stime del Coni (Libro bianco dello sport italiano, 2012), aggiornate con l’adeguamento al rialzo del presidente Malagò che, a Confindustria nel 2014, ha parlato dell'1,7%, segnalano in maniera chiara e inequivocabile come lo sport rappresenti un’industria decisamente significativa del nostro Paese, dove addirittura ha un impatto che supera percentualmente anche quello che ha in una prospettiva internazionale se, come nota il quotidiano economica spagnolo Expansi ón , lo sport vale globalmente l’1% del Pil mondiale.
Eppure, a discapito della sua importanza, lo sport in Italia soffre ancora di normative spesso problematiche, datate sino alla vetustà e frequentemente rivelatesi poi tutt’altro che adatte a uno sviluppo lineare rispetto alle richieste ed esigenze del movimento stesso.
A definire i limiti di un mondo che si evolve in maniera rapida, ad esempio, è una legge di 36 anni fa, resasi allora necessaria dal momento che, sino agli anni Settanta, il legislatore si era limitato a disciplinarne gli organi di governo e, ristrettamente ad alcuni ambiti, determinate tutele previdenziali.
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