Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare insegna educazione fisica (Woody Allen)

lunedì 27 febbraio 2017

Viaggio tra gli impianti sportivi di Roma diventati ruderi: qui ormai solo campioni di monnezza

Dalla vela di Calatrava al Flaminio, passando per l’ippodromo vincolato il degrado invade le strutture dismesse e i cantieri abbandonati.
Nulla se non il soprannaturale governa questa città, dove il rischio idrogeologico, e cioè l’alluvione permanente, e lo spettro di tifosi romanisti annegati nell’esondazione del Tevere, scompaiono in una notte, o in un volo magico d’uccelli. Ok, lo stadio si fa, ma con meno cemento, meno business park, espressione sacrilega nel tempio della decrescita felice, via le torri di Daniel Libeskind, che a Ground Zero sì, a Tor di Valle no, anche perché Massimiliano Fuksas ha detto che quelle torri sono proprio brutte (ci teniamo la sua Nuvola all’Eur). E dunque, tornando allo straripamento biblico, giovedì Beppe Grillo ha detto che lo stadio sì, ma non lì, troppi rischi, e venerdì ha detto che lo stadio sì, e proprio lì. A Tor di Valle. Forse stiamo entrando inconsapevolmente nelle trame del grande complotto antigrillino, ma intanto è scomparso anche il referendum proclamato mercoledì («Sentiremo i cittadini»), e poi uno spiritello delle catacombe s’è portato via l’inviolabile vincolo posto la scorsa settimana sull’ippodromo di Tor di Valle, e attenzione: soltanto in un Paese meraviglioso come il nostro una soprintendenza che si chiama dei beni archeologici può dichiarare intoccabile una tribuna costruita nel 1959. Eh niente, c’è il vincolo, ha detto Virginia Raggi, lo stadio non si fa, bisogna rispettare la legge. E poi invece sì, lo stadio si fa, la legge chissà, il vincolo non vincola più.
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