Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare insegna educazione fisica (Woody Allen)

martedì 17 gennaio 2017

Pierpaolo Pasolini. Il poeta e il pallone

Pasolini corre con la maglia numero sedici. Chiama la palla, la controlla, supera un avversario e la passa a un compagno che s’invola sulla fascia. Poesia è quel campo che odora di pesce fresco e sudore a Fregene, il mare di Roma, intorno alberi spettinati dal vento e pochi spettatori distratti seduti a bordo campo.
Dalle cure di una vita spesa «dentro una lirica, come ogni ossesso» Pierpaolo Pasolini trovava rifugio anche dentro una partitella di periferia. Nel filmato d’epoca del Fondo a lui intitolato arriva, toglie occhiali e cappotto e insegue il pallone come uno dei suoi ragazzi di vita. Nel sottoproletariato romano cercava lo spontaneismo, il carattere primitivo e puro; nel calcio il suo sapore popolare, rituale, dunque sacro. A Enzo Biagi, che nel 1973 gli chiese che cosa sarebbe voluto diventare non fosse stato scrittore e regista, Pasolini rispose: «Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei più grandi piaceri».
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