Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare insegna educazione fisica (Woody Allen)

lunedì 1 settembre 2014

Marco Calamai: "L'educazione allo sport conduce a miglioramenti nelle capacita' sociali dei giovani disabili"

Il Meeting ha ospitato, all’interno della rassegna «L’impensabile diventa possibile», la tavola rotonda «Quando con lo sport si diventa grandi», con testimonianze di sportivi, allenatori ed educatori.
Massimiliano Ruggero, manager e allenatore, ex giocatore di rugby in serie A ed allenatore delle nazionali giovanili, animatore di un importante progetto nel trevigiano, il coach bolognese Marco Calamai, allenatore professionista di basket che ha lasciato il professionismo per intraprendere un percorso con ragazzi disabili, e infine Pedro Samaniego, responsabile della Casa Virgin di Caacupè ad Asuncion nel Paraguay. Calamai, che è anche docente nella facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna ha sottolineato la valenza psico–educativa del basket. «Quando ho smesso di allenare a livello internazionale – ha spiegato – ho deciso di dedicarmi a trasmettere i fondamentali e le regole di questo sport a persone diversamente abili. Spesso coloro che noi definiamo “non normodotati” sono oggetto di discriminazione, considerati inadeguati a praticare sport o a mantenere una vita normale e ritenuti inadatti a vivere la vita dell’individuo cosiddetto normale». Per capire la portata della sua attività Calamai ha utilizzato dei filmati: in uno si vedono ragazzi autistici che prima sono sospettosi verso la palla e poi la utilizzano come uno strumento di conoscenza: messa sopra o sotto i tavoli, diviene perfino strumento di interazione sociale con altri, con passaggi e piccoli giochi. «Abbiamo organizzato – prosegue Calamai – anche una manifestazione con la squadra americana degli Harlem Globetrotters. Io e alcuni volontari abbiamo insegnato le regole fondamentali a ragazzi autistici, down e con altre sindromi con compromissione neurologica. Notavamo che non solo si divertivano, ma assumevano atteggiamenti adeguati al contesto (temevamo comportamenti di fuga o aggressività, specie da parte di coloro a cui era stato diagnosticato autismo), e in più si sentivano molto gratificati. Interagivano, e ciò costituiva un aspetto molto importante per un miglioramento della loro patologia. Forse non è possibile guarire da autismo o neuropatie, ma sicuramente l’educazione allo sport ha condotto a miglioramenti nelle primitive capacità sociali di questi ragazzi». Concludendo lo sportivo bolognese ha ribadito che «spesso, allenando squadre cestistiche giovanili, mi sono imbattuto nei problemi dell’adolescenza di molti giovani. Lo sport li aiutava in modo significativo. Tuttavia la vera sfida è stata coinvolgere nel basket soggetti con patologie ben più gravi. Anche loro, come i ‘normali’ adolescenti, hanno tratto giovamento da questo sport, con evidenti progressi nelle loro capacità ». Lo sport per coloro che sono nella periferia del mondo e dell’esistenza è a volte più di un passatempo: è una possibilità di interagire con la realtà. (A.M.)
(fonte: Press-In anno VI / n. 1971 - Avvenire del 31-08-2014)

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