Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare insegna educazione fisica (Woody Allen)

martedì 11 novembre 2008

Essere utili anche dopo. Donare il corpo alla scienza

Dalle parole, in genere, nascono molte fantasie. Le parole in questione sono corpo, donazione, scienza. E ne sottointendono un'altra: cadavere. Alla parola cadavere, altro che fantasie si accendono, anche paure, misteri e qualche incubo. Il cadavere è la dimostrazione incontrovertibile che esiste uno stato fisico dimostrante il "dopo": prima sei vivo, poi non è vero che non ci sei più, ci sei eccome, ma cadavere. A questo punto, uno pensa che c'entrino Mary Shelley e Leopardi, il dottor Frankenstein e Federico Ruysch. Meglio non fantasticare, prendere il telefono e chiedere.
In Italia si sa poco e si parla ancor meno di lasciare il proprio corpo alla scienza. Si crede non sia necessario lavorare sui defunti e, invece, le tecniche chirurgiche innovative hanno proprio bisogno di sperimentazione, così come i giovani specializzandi hanno bisogno di esercitarsi.
Occorrono più informazioni. Allora uno prende il telefono e chiama Lorenzo Varetto del Dipartimento di anatomia, farmacologia e medicina legale dell'Università di Torino. Era responsabile dell'obitorio comunale, quando aveva sede in via Chiabrera, ora dirige il Laboratorio per lo studio del cadavere istituito nel 2001. Spiega: "Lo studio del cadavere finalizzato alla chirurgia è fondamentale. Quando qualcuno dona il proprio cadavere con uno scritto autografo, i chirurghi possono studiare, impratichirsi, fare esperienza, migliorarsi".
Al suo Laboratorio, il primo e unico in Italia, in questi anni sono arrivati una decina di cadaveri. Troppo pochi. Racconta: "Pochi sanno che in tutti i paesi occidentali la donazione dei cadaveri alla scienza è molto diffusa ed esistono centri che addirittura li rifiutano perché ne hanno troppi. Da noi, invece, niente, silenzio, nessuna informazione e scarsa disponibilità. Così i nostri chirurghi emigrano per fare esperienza e affinare la loro manualità, poiché apprendere dal vivo è più utile di qualsiasi simulazione. Ma quanto si può stare all'estero? Poco. Allora il rischio è che ci si alleni sui pazienti. Avere a disposizione cadaveri per la sperimentazione chirurgica e l'attività didattica è fondamentale, è un segno di civiltà".
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